Giorno per giorno – 26 Novembre 2016

Carissimi,
“Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lc 21, 36). Poco prima, sempre Gesù aveva detto: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso” (v. 34). Stasera, a casa di dona Jane, ci dicevamo che, nonostante il linguaggio che sembrerebbe voler indurre alla paura, si tratta, in realtà, di un invito a vivere consapevolmente e responsabilmente in tempi difficili, come quelli che sperimentava la comunità di Luca e come, da allora, succede di dover affrontare in ogni epoca. Come comportarci di fronte alle differenti crisi che periodicamente si presentano sul nostro cammino? Ha un senso per noi ritrovarci intorno alla Parola di Dio? Quanto essa pesa sulle nostre scelte? Preferiamo la politica dello struzzo che nasconde la testa nella sabbia, ignorando, della crisi, cause e conseguenze; quella del “si salvi chi può e gli altri se la vedano loro”; o ci mettiamo nella prospettiva di cercare insieme una via d’uscita? Competizione o cooperazione? Le scene di violenza che caratterizzano, qua e là, il cosiddetto “black friday” – se ne sono viste anche ieri sera nei notiziari – sono una dimostrazione in più di come l’ideologia (o anche l’idolatria) consumista, una delle facce del sistema, concepisca le relazioni sociali come guerra di tutti contro tutti, o affermazione di alcuni a danno di altri. Il che rappresenta l’antievangelo per eccellenza. Che nega la nostra umanità, quella che ci consente di “comparire davanti al Figlio dell’uomo”, ad ogni momento presente in ogni essere umano, in quanto figlio di Dio; ma che anche, nel suo farsi dono e servizio (il modello Gesù), ci si propone come misura ultima e vera del nostro agire. Siamo sufficientemente attenti a questo? La nostra vita è, in ogni occasione, preghiera al Padre, nel riconoscimento e nell’accoglienza dei fratelli?

Oggi è memoria di mons. Arturo Rivera y Damas, pastore impegnato a fianco del suo popolo, e di Sojourner Truth, ex-schiava che dedicò la vita al riscatto dei suoi fratelli.

Arturo Rivera y Damas, salesiano, era nato il 30 settembre 1923 a San Esteban Catarina (Salvador). Fu ordinato sacerdote nel 1953 e consacrato vescovo nel 1960. Assai presto, la sua vita di dedizione ai poveri, nella linea di Medellin, gli meritò l’accusa di “comunista” da parte di quegli organi d’informazione che si facevano portavoce delle calunnie del governo, dell’oligarchia e dell’esercito. Nel 1983, fu chiamato a succedere a mons. Romero – assassinato nel 1980 – come arcivescovo di San Salvador. Durante il suo lungo ministero pastorale si impegnò per il riscatto dei poveri, di cui potè vedere la crescita in termini di dignità, coscienza politica e organizzazione. Fu anche testimone della feroce repressione, dell’esilio, della guerra e della fame che colpirono il popolo salvadoregno. Attento al rapporto fede-politica, era convinto che attraverso l’azione dei laici, la comunità cristiana deve influire nella storia. Nelle elezioni politiche, le prime in tempo di pace, che si svolsero pochi mesi prima della sua morte, ammonì che “non si può costruire sulla menzogna, la prepotenza, la corruzione, l’odio e l’ingiustizia. L’elettore che ha una coscienza rettamente formata sa bene che è così”. Morì d’infarto il 26 novembre 1994.

Sojourner Truth nacque nel 1797 a Hurley, nella Contea di Ulster, un insediamento olandese nello stato di New York. Le fu dato il nome di Isabella Baumfree. Era una dei tredici figli di James e Betsy, schiavi del colonnello Hardenbergh. Alla morte di questi, la proprietà passò al figlio di quello, Charles. Dalla madre, Isabella ereditò una profonda, incrollabile fede cristiana, che l’avrebbe sorretta lungo tutte le traversie della vita. Isabella fu venduta come schiava quattro volte: nel 1806, con un gregge di pecore, a Neeley, per cento dollari; nel 1808, a Shriver, per 105 dollari; nel 1810 a Dumont, per 300 dollari; nel 1828 a Van Wagener che avrebbe concesso a lei e alla figlia Sofia la libertà. Obbligata da Dumont, aveva dovuto sposare uno shiavo più vecchio di lei, di nome Thomas, con cui ebbe cinque figli. Una volta libera, si stabilì a New York, lavorando come domestica in diverse comunità religiose. Nel 1843, la svolta: una rivelazione spirituale che le cambiò la vita. Isabella Baumfree, lasciando il suo nome, prese quello di Sojourner (Ospite) Truth (Verità), cominciando a predicare nel Long Islands e in Connecticut la “verità e il piano di salvezza di Dio”. Dopo alcuni mesi di viaggio, giunse a Northampton, nel Massachusetts, e si unì ad una comunità impegnata alacremente nella lotta per l’abolizione della schiavitù. Durante e dopo la Guerra Civile, migliaia di schiavi cominciarono a confluire a Washington, sperando di trovarvi salvezza e libertà, trovando però il governo totalmente impreparato ad accogliere un tale flusso migratorio, incapace di garantire a tutti lo spazio necessario, cibo a sufficienza e occupazione. Truth prese a lavorare con loro senza risparmiarsi, al Freedmen’s Village, per trovare la risposta e dare il suo contributo al superamento di quelle difficoltà. Negli anni seguenti, Sojourner avrebbe continuato instancabilmente la sua lotta a favore degli ex-schiavi del sud, ma anche quelle a sostegno dei diritti delle donne, della riforma carceraria e contro la pena capitale. Qualche giorno prima di morire disse a un amico: ‘Non sto per morire, bello mio! Sto per tornare a casa come un meteorite’. Morì a Battle Creek, in Michigan, il 26 Novembre 1883.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap.22, 1-7; Salmo 95; Vangelo di Luca, cap.21, 34-36.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Alle 22.29 (ora cubana) di ieri (da noi e da voi era già oggi), è morto Fidel Castro, il padre della rivoluzione cubana, pianto dalla maggior parte del suo popolo, cui ha contribuito a restituire dignità e orgoglio, riuscendo a fare dell’Isola, nonostrante il blocco economico disumano, deciso dagli Usa, durato più di cinquant’anni, il Paese a più elevato indice di sviluppo dell’America Latina, con l’eliminazione dell’analfabetismo e della fame; dove l’assistenza sanitaria gratuita e l’istruzione gratuita, compresa l’istruzione superiore, sono considerate diritti universali. Dove l’aspettativa di vita è di 80 anni per le donne e di 77 per gli uomini. Dove la pena di morte (che continua ad essere applicata negli Stati Uniti) è sospesa dal 2003. Da dove diecimila medici sono stato inviati in giro per il mondo (compreso il nostro Paese), nelle zone più povere e meno servite del Pianeta, ad esportare salute (più di cento furono in Africa per combattere e debellare l’ebola, un numero superiore a quello di tutti gli altri Paesi considerati insieme). Certo, tutto questo, non senza errori e contraddizioni, dovute per buona parte all’accerchiamento ideologico ed economico di cui Cuba è fatto oggetto. Onore, dunque e comunque, al Compagno Fidel. E su di lui, ci congediamo, cedendo la parola a un testo di Eduardo Galeano, tratto dal suo “Espejos – Una historia casi universal”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
I suoi nemici non dicono che non è stato per posare per la Storia che abbia messo il suo petto di fronte alle pallottole quando è arrivata l’invasione, che abbia affrontato gli uragani alla pari, da uragano a uragano, che è sopravvissuto a 637 attentati, che la sua contagiosa energia sia stata decisiva per far diventare patria una colonia e che non sia stato per un incantesimo di Mandinga né per un miracolo di Dio che questa nuova patria abbia potuto sopravvivere a 10 presidenti degli Stati Uniti, che avevano apparecchiato la tavola per mangiarla con coltello e forchetta. E non dicono che questa rivoluzione cresciuta nel castigo, sia quello che è potuta essere e non quello che è voluta essere. Né dicono in gran misura che il muro tra il desiderio e la realtà sia diventato più alto e più largo grazie al bloqueo imperiale che ha annegato lo sviluppo di una democrazia alla cubana, che ha costretto la militarizzazione della società ed ha dato alla burocrazia, che per ogni soluzione ha un problema, le giustificazioni di cui ha bisogno per legittimarsi e perpetuarsi. E non dicono che nonostante le aggressioni da fuori e le arbitrarietà da dentro, quest’isola sofferta ma ostinatamente allegra abbia generato la società latinoamericana meno ingiusta. Ed i suoi nemici non dicono che questa prodezza sia stata un prodotto del sacrificio del popolo, ma anche della testarda volontà e dell’antico senso dell’onore di questo cavaliere che ha sempre lottato per i perdenti, come quel certo Don Chisciotte, famoso suo collega dei campi di battaglia”. (Eduardo Galeano, Espelhos, uma história quase universal).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Novembre 2016ultima modifica: 2016-11-26T22:36:20+01:00da fraternidade
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