Giorno per giorno – 25 Novembre 2016

Carissimi,
“Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga” (Lc 21, 29-32). Già, ma queste cose, cioè le cose che Gesù aveva elencato prima, nel suo discorso, accadono sempre, dai suoi tempi, e anche prima: guerre, rivoluzioni, sconvolgimenti, terremoti. E allora? Allora, il regno di Dio è sempre lì, a portata di mano. Cioè, a portata di testimonianza. Prima, magari, senza avere le idee troppo chiare sul fatto che si trattasse proprio del regno di Dio, o senza chiamarlo proprio così; lo Spirito, del resto, che mica cambia di opinione da un momento all’altro, soffia da sempre e ispira chi vuole e dove vuole, senza che nessuno lo possa trattenere, proprio come succede col vento. Dopo Gesù, comunque, cosa sia il Regno, lo si sa con ragionevole certezza. Lui è venuto proprio per toglierci ogni dubbio, perché la facessimo finita di attribuire a Dio tutte le nostre bizzarrie e persino le nostre malvagità. Dio è solo come ci si è mostrato in lui: amore incondizionato e senza fine. Questo è ciò che manifesta il suo regnare tra di noi. E qui le cose si complicano, perché noi, per natura, qualche barriera, vorremmo pure porcela a nostra difesa. Beh, vorrà dire che il nostro fico non ha ancora germogliato e l’estate è ancora lontana. Quindi non vedremo riaccadere il miracolo che conobbe quella generazione, quello di un uomo che diede la vita per troppo amore. A un punto tale che poteva essere solo il figlio di Dio. Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, lui ci ha ripetuto: Sapete una cosa? Potete farlo anche voi, prima che passi questa generazione. Basta cominciare con il non aggiungere odio a odio, violenza a violenza, intolleranza a intolleranza, chiusura a chiusura. Sono già i primi bocci del Regno. Il resto viene poi da sé.

Il martirologio latino-americano ci porta la memoria Marçal de Souza Tupã-y, martire della causa indigena. Noi lo ricordiamo assieme alla figura di un rabbino saggio e misericordioso: Rabban Gamaliel, maestro in Israele.

Marçal de Souza Tupã-Y era nato il 24 dicembre 1920, a Rincão do Júlio, nella regione di Ponta Porã, nel Mato Grosso do Sul (Brasile). Rimasto orfano a otto anni, fu mandato nella Nhanderoga (la “nostra casa”), come si chiamava l’orfanatrofio dei bambini indigeni della Missione Caiuá, nell’area indigena di Dourados. A 12 anni si trasferì con una coppia di missionari presbiteriani a Campo Grande. Lì conobbe un ufficiale dell’esercito che lo portò, diciottenne, con la sua famiglia a Recife, dove lavorò in cambio di vitto, alloggio e studio. Due anni dopo, Marçal era però già di ritorno a Dourados, dove prese a lavorare per la Missione Caiuá come insegnante e interprete di guaranì. Nel 1959, terminato un corso dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, divenne infermiere, una professione che esercitò sino alla morte. Nel 1963, Marçal fu eletto cacicco della Riserva Indigena di Dourados. Dall’inizio degli anni 70 cominciò a denunciare l’espropriazione delle terre indigene, il taglio illegale di legname, la riduzione in schiavitù degli indigeni e il traffico di bambine indigene. Nel 1976 conobbe e integrò il CIMI, un’organizzazione della chiesa cattolica, impegnata ad aiutare l’organizzazione indigena. Nel 1980, fu scelto a rappresentare la comunità indigena nell’incontro previsto con Giovanni Paolo II, durante la sua prima visita in Brasile. L’11 luglio 1980, quando il papa stava congedandosi dalla popolazione all’aeroporto di Manaus, Tupã-Y fece un discorso in cui denunciò senza mezze parole le aggressioni dei bianchi contro gli indigeni e la perdita dei diritti indigeni lungo i secoli. In quello stesso anno, Marçal lasciò nella riserva di Dourados la sua sposa meticcia, dona Aristídia, con i suoi dieci figli, di cui tre adottivi, e se ne andò a vivere alla maniera guaranì in una piccola regione, a Campestre, nel municipio di Antonio João, nei pressi della frontiera col Paraguay. Lì, il 25 novembre 1983, aprendo la porta a qualcuno che stava chiedendo un medicinale per il padre malato, fu aggredito da due individui, che lo finirono con cinque tiri a bruciapelo. Lasciava la seconda moglie, l’india Celina Vilhava, di 27 anni, gravida di nove mesi. Le prime indagini additarono il mandante dell’assassinio in un fazendeiro che aveva cercato di corrompere Tupã-Y per ottenere l’allontanamento degli indios kaiowá dal villaggio di Pirakuá, a Bela Vista (MS). Inutilmente. La cosa non ebbe seguito e i responsabili dell’assassinio rimasero impuniti.

Nipote di Hillel, Gamaliel, nato intorno al 40 a.C., resse la presidenza del grande Sinedrio di Gerusalemme tra il 22 e il 50 d.C., prima della distruzione del Tempio. Vero discendente di Hillel, era misericordioso e indulgente nell’interpretare e applicare la Legge, dandosi da fare per proteggere le fasce più deboli della popolazione, in particolare le donne, e tutelarne i diritti. Fu il primo a meritare il titolo di Rabban, Nostro Maestro. Diceva: Nessuno può imporre agli altri una legge che la maggioranza non è in grado di rispettare. Aperto e rispettoso con tutti, insegnava che gli ebrei devono trattare gli altri popoli con lo stesso affetto e carità che riservano a quelli della loro stirpe. Anche in relazione al gruppo dei giudei-cristiani, il suo atteggiamento fu molto tollerante e comprensivo. Intervenne in difesa degli apostoli e ne ottenne la liberazione. Fu per alcuni anni maestro di Paolo (At 22,3) e nel Nuovo Testamento è definito “dottore della legge rispettato da tutto il popolo”(At 5,34). Secondo una tradizione, morì nel 62 d.C. La Chiesa Ortodossa ne sostiene una (per molti improbabile) segreta conversione al cristianesimo, e lo venera come santo il 2 agosto, data in cui una tradizione vorrebbe fossero state ritrovate le sue ossa assieme a quelle di un figlio di nome Abibas, di santo Stefano e di Nicodemo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap.20, 1-4.11-21,2; Salmo 84; Vangelo di Luca, cap.21, 29-33.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Oggi si celebra anche la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle Donne, voluta a partire dal 1998 dall’ONU per sensibilizzare opinione pubblica e governi circa le molteplici forme di violenza, discriminazione, abusi e molestie, di cui sono vittime le donne nel mondo. Varrà la pena ricordare, a questo proposito, che la violenza familiare in Europa è la prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni. La data di oggi è stata scelta nel ricordo di tre sorelle, Minerva, Maria Teresa e Patria Mirabal, sequestrate, torturate, violentate e uccise da agenti della polizia segreta del dittatore Trujillo, il 25 novembre 1960, nelle Repubblica Dominicana, mentre si recavano in visita ad alcuni loro congiunti, detenuti politici.

E oggi è anche il giorno natalizio di papa Giovanni, essendo egli nato il 25 novembre 1881, a Sotto il Monte, provincia di Bergamo. Scegliamo così di congedarci, offrendovi in lettura quattro preghiere a lui rivolte da padre David Maria Turoldo, che proprio a Sotto il Monte, nell’antico Priorato cluniacense di Sant’Egidio in Fontanella, scelse di vivere a partire dal novembre del 1964, per quasi un trentennio, l’ultima stagione della sua vita. Tratte dal suo libro “Colloqui con papa Giovanni” (Servitium), sono per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“Se nella notte non sai dove andare/ e solo vai sperduto nel mondo,/ al mio balcone arde un lume/ e sempre l’uscio è socchiuso. // Non io ti lascio bussar due volte,/ scenderò ad aprirti festoso/ né chiederò di qual fede tu sia,/ sei un fratello in cerca di Dio”. //Papa Giovanni, tu padre del mondo / noi siamo ancora più soli e delusi, / tutti smarriti e senza più gioia, / dentro ogni cuore fa nido la notte.//
È scesa ancora la notte sul mondo / notte di odio, di morte e follia: / tutto intorno è Terrore e Violenza, / tutto il mondo è senza giustizia. // Parlano tutti di Ordine e Pace, / e hanno in cuore solo armi e rapine: / vittime inutili cadono ovunque / in troppi paesi fra i poveri, a turbe. // Papa Giovanni , tu padre del mondo / torna a gridare la “Pacem in terris” : / per te han creduto almeno una volta / al gran bisogno di essere fratelli.//
Ancora morti ogni giorno, da sempre, / morti per fame, in guerriglie ed agguati: / Morte, non fai più alcuna notizia, / anche tu, Morte, svilita e inutile. // Oggi “il-più-forte” sparato al cuore / (perché giocava da troppo alle armi?) / ieri ucciso Romero il Vescovo / a messa, l’Ostia levata sul mondo. // Papa Giovanni, tu padre del mondo / torna a chiamare i figli al Concilio: / Ragione e Fede ancora convergano, / sola salvezza per tutte le vittime. //
Genera mostri Ragione che dorme, / e pure Scienza da sola ci rende / ancora più raffinati nel male, / per ogni vita il tritolo è già pronto. // Credenti e non si uniscano insieme, / e quanto esiste nel mondo, all’uomo / come al suo vertice tutto rapporti: / ed i fanciulli ritornino a vivere. // Tu che parlasti di nuove aurore / contro i profeti di sole sventure, / vieni ancora a darci speranza, / “goda la Chiesa di pace soave”!// (David Maria Turoldo, Quattro preghiere a papa Giovanni).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Novembre 2016ultima modifica: 2016-11-25T22:15:24+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo