Giorno per giorno – 23 Novembre 2016

Carissimi,
“Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21, 16-19). È dai tempi del mitico Caino (mitico perché c’è in lui inscritta la storia di tutti tempi), che ci si uccide tra fratelli, cioè tra i figli di Dio, come siamo tutti, alcuni tra loro più vicini, per vincoli di consanguineità, di affetti (!), di religione, di chiesa, altri, più lontani, perché nati in altri Paesi o tribù o da altre stirpi. E, alla radice di ogni assassinio – e di ogni voler male che già gli equivale – è in realtà l’odio del nome di Gesù e di ciò che significa: Dio-salva. Che, chi uccide fisicamente o metaforicamente, con le armi, il disprezzo o l’indifferenza, intende invece negare. Il vangelo di oggi ce lo ricorda. Noi non necessariamente saremo traditi e uccisi dai nostri parenti e amici più cari, più semplicemente, qualche volta, qualcuno di essi potrà tentare di spegnere in noi la forza di quel Nome che abbiamo accettato di testimoniare come ragione della nostra vita e della vita di tutti. Beh, se noi resisteremo, conosceremo che cosa significa la salvezza, sapremo che cosa è far parte della vita di Dio.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Clemente di Roma, pastore e martire; Colombano, monaco; e Miguel Agustin Pro, martire in Messico.

Sappiamo poco di questo Clemente, che la tradizione vede alla successione del beato Pietro apostolo, come terzo vescovo di Roma, dopo Lino e Cleto, e che è, con certezza, l’autore di una bella Lettera ai Corinzi, che rappresenta uno dei documenti più importanti della Chiesa primitiva. La profonda conoscenza dell’Antico Testamento che in essa si rileva, porta a ritenere che egli fosse di origine ebraica. Conobbe Pietro e fu forse collaboratore di Paolo. Il suo pontificato durò nove anni, sotto gli imperatori Domiziano, Nerva e Traiano. Circa la sua fine, una tradizione non comprovata risalente al IV secolo afferma che sarebbe stato affogato con un’ancora al collo in Crimea, suo luogo d’esilio. per ordine dell’imperatore Nerva. Lo storico Eusebio di Cesarea e san Girolamo sostengono concordemente che Clemente morì nel 101, senza però menzionarne l’esilio o il martirio.

Colombano era nato verso l’anno 543, nella provincia irlandese del Leinster. A vent’anni era entrato nel monastero di Bangor, dov’era abate Comgall, un monaco famoso per la vita di preghiera e il rigore ascetico. Terminata la formazione monastica e ordinato sacerdote, Colombano, con dodici compagni, si recò in Bretagna, dove fondò numerosi monasteri e si fece carico di una diffusa azione missionaria. La forte personalità e lo zelo per il Vangelo lo portarono spesso a denunciare apertamente le malefatte dei governanti dell’epoca e a subirne le conseguenze, in termini di minacce alla sua persona, persecuzioni, esili. Davanti al papa Gregorio Magno, difese le ragioni dei cristiani del suo Paese circa la scelta della data della Pasqua e le discipline penitenziali che i monaci avevano esportato in tutta Europa. Due anni prima della morte, dopo un periodo trascorso sul lago di Costanza, raggiunse Bobbio, sull’Appennino emiliano-ligure, dove si spense, nel monastero che vi aveva fondato, il 23 novembre del 615.

José Ramón Miguel Agustín era nato a Guadalupe, vicino a Zacatecas, in Messico, il 13 gennaio 1891, terzo figlio di Miguel Pro e di Josefa Juárez.. Ragazzo estroverso e allegro, entrò nella Compagnia di Gesù a vent’anni, continuando a dar prova di spirito di sacrificio, nonché di allegria costante nel dono di sé. Dopo la formazione, avvenuta in California, Spagna, Belgio (dove fu ordinato prete nel 1925) e in Nicaragua, rientrò nel 1926 in Messico, che conosceva in quegli anni una situazione drammatica a livello sociale, politico e religioso. Quelli che seguirono furono mesi vissuti pericolosamente, di ministero pastorale clandestino, con celebrazioni in segreto dell’Eucaristia, esercizi spirituali per il popolo perseguitato, visite frequenti a quanti avevano più bisogno di una parola amica e di un aiuto concreto: i poveri, i malati, i moribondi. Il tutto eludendo astutamente la sorveglianza e i controlli di una polizia sempre più disorientata. Anche se si trattava di un’attività strettamente sacerdotale e caritativa, la legge in vigore la considerava illegale. E il governo massone dell’epoca non gliela perdonò. Nel clima di repressione generalizzata che seguì l’attentato al generale Alvaro Obregon, il giovane gesuita venne arrestato e, senza che si tenessero in alcun conto le deposizioni dei testimoni che provavano la sua innocenza, e che si istituisse un regolare processo, fu condannato e fucilato a Città del Messico, il 23 novembre 1927, con il solo fine di incutere paura a quanti non intendevano piegarsi ad un regime anticattolico e inumano. Le sue ultime parole, prima della scarica dei fucili, furono la sua professione di fede nel Re povero al cui servizio si era liberamente messo: “Viva Cristo Re!”. Uno degli autori dell’esecuzione dirà in seguito: “È così che muoiono i giusti”. In occasione dei funerali, nonostante le misure repressive in atto contro le manifestazioni religiose, accorsero più di ventimila persone, per ringraziare colui che aveva fatto loro dono della sua vita.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap.15, 1-4; Salmo 98; Vangelo di Luca, cap.21, 12-19.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

È tutto, per stasera. E noi ci si congeda, offrendovi in lettura un brano della “Lettera ai Corinzi” di Clemente di Roma. Una lettera che, assai citata nell’antichità, si vide riconosciuta da talune chiese una dignità pari a quella delle Scritture. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. Chi può spiegare il vincolo della carità di Dio? Chi è capace di esprimere la grandezza della sua bellezza? L’altezza ove conduce la carità è ineffabile. La carità ci unisce a Dio: “La carità copre la moltitudine dei peccati”. La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale , nulla di superbo nella carità. La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella concordia. Nella carità sono perfetti tutti gli eletti di Dio. Senza carità nulla è accetto a Dio. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la carità avuta per noi, Gesù Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima. Vedete, carissimi, come è cosa grande e meravigliosa la carità, e della sua perfezione non c’è commento. Chi è capace di trovarsi in essa se non quelli che Dio ha reso degni? Preghiamo dunque e chiediamo alla sua misericordia perché siamo riconosciuti nella carità, senza sollecitazione umana, irreprensibili. Sono passate tutte le generazioni da Adamo sino ad oggi, ma quelli che con la grazia di Dio sono perfetti nella carità raggiungono la schiera dei più, che saranno visti nel novero del regno di Cristo. Infatti è scritto: “Entrate nelle vostre stanze per pochissimo, finché passa la mia ira e il mio furore; mi ricorderò del giorno buono e vi risusciterò dai vostri sepolcri”. Siamo beati, carissimi, se eseguiamo i comandamenti di Dio nella concordia della carità, perché ci siano rimessi i peccati per la carità. È scritto: “Beati quelli cui furono rimesse le malvagità e i cui peccati sono stati coperti; beato l’uomo del quale il Signore non considererà il peccato, né l’inganno è sulla sua bocca”. Questa beatitudine è per quelli scelti da Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. (Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, XLIX-L).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Novembre 2016ultima modifica: 2016-11-23T22:44:00+01:00da fraternidade
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