Giorno per giorno – 21 Settembre 2016

Carissimi,
“Mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: Seguimi. Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9, 9). Dove mai ci ha sorpresi Gesù, quando ci ha chiamati? Ma, poi, ci siamo sentiti davvero chiamati? E a che cosa? C’è qualcosa che segna una differenza tra noi e chi non ha, per dirla così, incontrato lo sguardo di Gesù? O è solo qualche devozione, la frequenza, più o meno diluita nel tempo, ai sacramenti? Ciascuno, ci dicevamo stasera, ha la sua storia. I più, siamo nati e cresciuti in famiglie cristiane, alcune poco, altre molto, altre per niente praticanti. Come anche Matteo non lo era. A causa della professione che svolgeva, con annessi e connessi. Il lavoro era anche il luogo del suo peccato, lo sfruttamento, l’arricchimento indebito, e quant’altro. Lì, Lui gli si è fatto incontro. E ha cambiato tutto. Nel caso nostro, forse non c’è stato un episodio specifico. La vita procedeva tra lavori e/o divertimenti anche onesti (oppure no), quali che fossero, in una routine finalizzata però solo a noi stessi, che ci faceva incuranti degli altri. Finché, un giorno, qualcuno, qualcosa ce ne ha reso accorti, e abbiamo scoperto che non ci bastava più. Quello era, anche per noi, con tutta l’onestà possibile, il luogo del nostro peccato, della nostra indifferenza. E Lui, proprio lì, ci ha chiamati, per lasciarsi, subito dopo, invitare da noi. Non perché eravamo giusti, come, del resto, non lo saremo mai – e se mai presumessimo di esserlo, saremmo anche più peccatori, più lontani da Dio (anzi, vicini, ma irraggiungibili), come il fratello “religioso”, o semplicemente perbene, del figlio prodigo, che del Padre ha capito meno ancora del fratello discolo -, ma proprio perché peccatori. Cioè, gente dai molti tentativi sbagliati. È allora, se è successo, che ci siamo innamorati di Lui e del suo progetto. Anche se, a volte, ci capita di scordarcene. Come dev’essere successo, più volte, a Matteo e ai suoi compagni. Ma Lui, lo aveva previsto e lo prevede ogni volta. Supplendo con la sua grazia.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Matteo, apostolo ed evangelista, del gesuita Gabriele Malagrida, apostolo del Brasile; e di Rosario Livatino, martire della giustizia in tempi di mafia.

Matteo-Levi è uno dei Dodici, tradizionalmente considerato l’autore del primo dei vangeli canonici. Figlio di Alfeo, prima della sua conversione, era pubblicano, cioè esattore delle imposte per conto dei romani. Mentre stava seduto al banco dell’esattoria, Gesù lo vide e gli disse: “Seguimi”. E lui si alzò e lo seguì. Si ritiene che la sua attività apostolica si sia limitata, almeno in un primo momento, alla Palestina, o che, comunque, si sia diretta a una comunità di giudei cristiani, nell’ambito della quale sarebbe poi stato redatto il Vangelo che porta il suo nome. Una tradizione indica l’Etiopia come suo successivo campo di missione, altre tradizioni suggeriscono la Persia. Forse morì martire.

Gabriele Malagrida nacque a Menaggio, sul lago di Como, il 6 dicembre 1689. Entrato nella Compagnia di Gesu nel 1711, dopo alcuni anni di insegnamento a Bastia, in Corsica, ottenne di partire per il Brasile, nel 1721, dove per molti anni svolse il suo ministero nelle missioni del Pará e del Maranhão. Per dodici anni percorse oltre seimila chilometri, in gran parte a piedi, lungo un itinerario che lo portò fino a Salvador de Bahia e gli fece attraversare sulla via del ritorno gli attuali stati di Sergipe, Alagoas, Pernambuco, Paraíba e Ceará. Fu una grande marcia al servizio del Vangelo, durante la quale predicò, battezzò, confessò, fondò conventi e costruì chiese, ma soprattutto denunciò le soperchierie dei ricchi, difese i diritti degli indios, protesse emarginati, poveri e prostitute, condividendo con loro uno stile di vita povero e austero. Recatosi per un breve soggiorno a Lisbona nel 1750, vi fece ritorno nel 1754, chiamato a corte e accolto da uno moltitudine di fedeli, presso i quali si era diffusa la fama della sua santità. Sfortunatamente questo suo soggiorno coincise con la salita al potere, nel 1756, di Sebastião José de Carvalho e Melo, il famigerato marchese di Pombal, nelle cui mani si venne concentrando tutto il potere del Portogallo di Dom José I e che era nemico giurato delle missioni e dei gesuiti. Due opuscoli piuttosto farneticanti, attribuiti all’anziano gesuita, in cui si sosteneva che il terribile terremoto del 1° Novembre 1755 che aveva distrutto Lisbona era da considerarsi un castigo divino, offrì il pretesto al marchese di Pombal per ordinarne l’arresto e istituire successivamente un processo presso la santa Inquisizione. I giudici, legati a filo doppio al potente ministro, condannarono il gesuita, come visionario ed eretico, consegnandolo al braccio secolare per essere strangolato e bruciato sulla pubblica piazza. Il che avvenne il 21 settembre 1761. L’anno seguente, papa Clemente XIII lo beatificò e proclamò “martire della chiesa e apostolo del Maranhão”.

Rosario Angelo Livatino era nato a Canicattì (Agrigento) il 3 ottobre 1952, da Vincenzo e Rosalia Corbo. Giovane di Azione Cattolica, dopo gli studi classici, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza a Palermo, laureandosi “cum laude” nel 1975. A ventisei anni, nell’estate del 1978, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria nel concorso per uditore giudiziario, entrò in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta. Nel 1979 diventò sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e ricoprì la carica fino al 1989, quando assunse il ruolo di giudice a latere. In breve, il giovane magistrato venne acquisendo una conoscenza approfondita del fenomeno mafioso e delle sue trame, infiltrazioni, connessioni e collusioni, nei più diversi ambiti, istituzionale, economico-finanziario, politico, massonico, e operò conseguentemente, mettendo a segno numerosi colpi nei confronti dell’organizzazione mafiosa, anche attraverso lo strumento della confisca dei beni. Venne ucciso il 21 settembre del 1990 mentre si recava, senza scorta, in tribunale, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda, un’organizzazione mafiosa attuante nell’agrigentino. Pochi giorni prima, Cossiga, l’ineffabile Presidente della Repubblica di allora, da sempre vicino ai poteri occulti, aveva dichiarato, con evidente allusione: “Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno? Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta”. Ma il “giudice ragazzino” tirò dritto per la sua strada, fino a dare la vita. Un giorno aveva detto: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”. Beh, lui lo è stato, a prezzo della vita.

I testi che la liturgia odierna consegnano alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’apostolo e sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.4, 1-7.11-13; Salmo 19; Vangelo di Matteo, cap. 9, 9-13.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

Oggi 21 settembre si celebra la Giornata Internazionale della Pace, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 30 novembre 1981 con la risoluzione 36/67 che ne fissava la ricorrenza il terzo giovedì di settembre, spostata poi, a partire dal 2002, al 21 settembre di ogni anno. La giornata ha come scopo quello di sollecitare gli stati membri delle Nazioni Unite, le organizzazioni governative e non governative e gli individui, ad unirsi per far cessare le ostilità esistenti nel mondo e a commemorare la Giornata in maniera appropriata, sia attraverso l’educazione e una capillare azione di coscientizzazione sul tema della pace e della nonviolenza. Il tema indicato dalle Nazioni Unite per il 2016 è “La pace sostenibile per un futuro sostenibile”. Facciamo nostre le parole del Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon: “Durante questa Giornata Internazionale, facciamo a noi stessi la promessa: che la pace diventi una passione e non una mera priorità. Impegniamoci a fare di più, ovunque e in qualunque modo possibile, affinché ogni giorno sia un giorno di pace”. Non possiamo pensare di costruire un futuro sostenibile se non c’è una pace sostenibile. I conflitti armati privano i popoli della possibilità di svilupparsi , di creare posti di lavoro, di salvaguardare l’ambiente, per combattere la povertà, di ridurre il rischio di catastrofi, di promuovere l’equità sociale e di garantire che tutti abbiano abbastanza cibo. Il sogno che questa giornata vuole realizzare è quello di un futuro in cui le risorse naturali vengono protette e valorizzate, piuttosto che usate per finanziare le guerre , dove i bambini possono essere educati a scuola e non reclutati negli eserciti, in cui vengono risolte disparità economiche e sociali attraverso il dialogo invece che con la violenza

Si è concluso ieri ad Assisi, alla presenza di papa Francesco, l’incontro “Sete di pace”, organizzato dai francescani e dalla Comunità Sant’Egidio nei locali del Sacro Convento. Il convegno che si è svolto a trentanni dal primo storico incontro tra le religioni, convocato da Giovanni Paolo II, ha visto la partecipazione di circa 500 rappresentanti di nove religioni e di 26 denominazioni ecclesiali, uniti dalla speranza che lo “spirito di Assisi” contribuisca a portare pace in un mondo segnato da violenza, guerre, divisioni. Di questo convegno, sceggliamo i proporvi, nel congedarci, l’Appello finale, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Uomini e donne di religioni diverse, siamo convenuti, come pellegrini, nella città di San Francesco. Qui, nel 1986, trent’anni fa, su invito di Papa Giovanni Paolo II, si riunirono Rappresentanti religiosi da tutto il mondo, per la prima volta in modo tanto partecipato e solenne, per affermare l’inscindibile legame tra il grande bene della pace e un autentico atteggiamento religioso. Da quell’evento storico, si è avviato un lungo pellegrinaggio che, toccando molte città del mondo, ha coinvolto tanti credenti nel dialogo e nella preghiera per la pace; ha unito senza confondere, dando vita a solide amicizie interreligiose e contribuendo a spegnere non pochi conflitti. Questo è lo spirito che ci anima: realizzare l’incontro nel dialogo, opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo. Eppure, negli anni trascorsi, ancora tanti popoli sono stati dolorosamente feriti dalla guerra. Non si è sempre compreso che la guerra peggiora il mondo, lasciando un’eredità di dolori e di odi. Tutti, con la guerra, sono perdenti, anche i vincitori. Abbiamo rivolto la nostra preghiera a Dio, perché doni la pace al mondo. Riconosciamo la necessità di pregare costantemente per la pace, perché la preghiera protegge il mondo e lo illumina. La pace è il nome di Dio. Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella Sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa. Con ferma convinzione, ribadiamo dunque che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso. Ci siamo posti in ascolto della voce dei poveri, dei bambini, delle giovani generazioni, delle donne e di tanti fratelli e sorelle che soffrono per la guerra; con loro diciamo con forza: No alla guerra! Non resti inascoltato il grido di dolore di tanti innocenti. Imploriamo i Responsabili delle Nazioni perché siano disinnescati i moventi delle guerre: l’avidità di potere e denaro, la cupidigia di chi commercia armi, gli interessi di parte, le vendette per il passato. Aumenti l’impegno concreto per rimuovere le cause soggiacenti ai conflitti: le situazioni di povertà, ingiustizia e disuguaglianza, lo sfruttamento e il disprezzo della vita umana. Si apra finalmente un nuovo tempo, in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli. Si attui la responsabilità di costruire una pace vera, che sia attenta ai bisogni autentici delle persone e dei popoli, che prevenga i conflitti con la collaborazione, che vinca gli odi e superi le barriere con l’incontro e il dialogo. Nulla è perso, praticando effettivamente il dialogo. Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace; da Assisi rinnoviamo con convinzione il nostro impegno ad esserlo, con l’aiuto di Dio, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà. (Giornata mondiale di preghiera per la pace, Appello finale).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle dela Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Settembre 2016ultima modifica: 2016-09-21T22:28:14+02:00da fraternidade
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