Giorno per giorno – 19 Settembre 2016

Carissimi,
“Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere” (Lc 8, 16-18). Noi sappiamo la verità e qui cominciano i problemi. Perché: cosa intendiamo fare di essa? Coltivarla come una bella riflessione teorica, riservarle uno spazio nelle nostre devozioni, farne una pianta ornamentale del nostro giardino? O, che è anche peggio, uscire fuori brandendola come una spada, pretendendo di imporla agli altri, magari anche, perché no?, ricavarne qualche beneficio? Ma, se la verità è la verità dell’amore non può certo restare confinata o nascosta, dato che l’amore esige di dirsi e darsi senza sosta; e se vale, come ci è stato detto dalla parola incarnata nell’evento di Gesù, persino nei confronti di chi ci rifiuta, ci minaccia, attenta alla nostra vita, come potremmo usarla come arma di offesa e strumento di imposizione senza negarla, anche in questo caso, alla radice? Perciò, non ci resta che, quella verità, testimoniarla, farla venire alla luce nelle nostre relazioni con gli altri, senza concederci sconti. Sapendo che l’unica maniera di ascoltarla, che ci rende suoi, consiste nel praticarla. Con gli inevitabili capitomboli, ma egli ci rialza. Se no, avremo perso il nostro tempo. Finirà che ci vedremo strappata di dosso anche quella patina di religiosità o quella maschera di perbenismo che avevamo scambiato per fede.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi le memorie di Yolanda Céron, religiosa martire della giustizia e della solidarietà in Colombia, e di Al-‘Arabī ad-Darqāwī, mistico musulmano.

Yolanda Cerón era una religiosa della Congregazione della Compagnia di Maria. Era nata a Berruecos Nariño, e portava avanti da anni un’azione sistematica di denuncia della grave situazione dei diritti umani a Tumaco e dintorni (Dipartimento di Nariño, nel sudovest colombiano), sollecitando l’intervento di autorità locali, nazionali e internazionali perché si ponesse fine ad essa. Da otto anni era al servizio delle comunità indigene e afrocolombiane. A mezzogiorno del 19 settembre 2001, suor Yolanda fu uccisa con otto spari sulla porta della chiesa di Nostra Signora della Mercede. Il vescovo della città dichiarò: “Vediamo chiaramente che questo assassinio è una risposta alle azioni che la Diocesi ha intrapreso per la difesa dei diritti umani e le denunce per gli atti di violenza e di corruzione che quotidianamente si succedono in questa nostra terra”.

Lo sheikh Al-‘Arabī ad-Darqāwī nacque verso la metà del 18° secolo in un villaggio nei pressi di Fez, in Marocco. Poco più che ventenne incontrò colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale, al-‘Imrâni al-Hassanî, noto come Sidi Ali al-Jamal, che, sconosciuto ai più, era tuttavia uno dei grandi punti di riferimento della confraternita shadhili nel Maghreb. Alla morte del maestro, Darqāwī gli succedette alla guida dell’ordine, che sarebbe arrivato a contare fino a quarantamila membri, sparsi in tutta l’Africa settentrionale. Per venticinque anni ad-Darqāwī e la sua famiglia vissero alla giornata, senza mai accantonare nessuna provvista per il giorno successivo, ma affidandosi senza riserve alla provvidenza di Dio, non diversamente dagli uccelli del cielo del detto evangelico. La sua fama e popolarità raggiunsero tali dimensioni che i governanti, impauriti, arrivarono ad imprigionarlo. Egli stesso racconta che un giorno, ad un discepolo che si lamentava con lui della persecuzione di cui era fatto oggetto, disse: Se desideri eliminare colui che ti opprime, uccidi il tuo io, perché, uccidendolo, eliminerai tutti i tuoi oppressori. Darqāwī morì nel 1823 nel villaggio di Bu Barih, sulle montagne a nord di Fez. La sua tomba è ancor oggi visitata da moltissimi pellegrini ed ogni anno vi si tiene una grande festa di ringraziamento.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dei Proverbi, cap.3, 27-34; Salmo 15; Vangelo di Luca, cap.8, 16-18.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di Al-‘Arabī ad-Darqāwī, tratta dal suo “Lettere di un maestro sufi” (SE). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Abbiamo detto a un fratello: chi desidera mantenersi in uno stato di perpetua concentrazione, trattenga la lingua. E a voi raccomandiamo: se siete in uno stato di perplessità (hairah), non vi affrettate ad aggrapparvi a qualcosa, né scrivendo né con altro mezzo, affinché non chiudiate con le vostre mani la porta della necessità, poiché questo stato ha per voi la funzione del Nome supremo, ma Dio lo sa infinitamente meglio. Ibn ‘Atâi-Llâh scrisse nelle Hikam: “Un’angustia improvvisa è per chi aspira a Dio la chiave dei doni spirituali”, e inoltre: “Forse troverete nelle angustie un beneficio che non avete potuto trovare nel digiuno né nella preghiera”. Se dunque vi visita lo stato di cui si è detto, non difendetevi da esso e non agitatevi nel cercare un rimedio, rischiando così di scacciare il bene che liberamente vi visita, ma rimettete totalmente la vostra volontà al vostro Signore, e allora vedrete meraviglie. Il nostro maestro soleva dire a chi era colto da perplessità: “Rilassa il tuo spirito e impara a nuotare!”. (Al-‘Arabī ad-Darqāwī, Lettere di un maestro sufi).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Settembre 2016ultima modifica: 2016-09-19T22:16:06+02:00da fraternidade
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