Giorno per giorno – 30 Maggio 2016

Carissimi,
“Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno ad una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano. A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna. Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote” (Mc 12, 1-3). Parabola difficile, quella che abbiamo ascoltato stasera a casa di dona Genesy, e con un drammatico epilogo. Come spesso succede nella storia, quando i potenti (i vignaioli della parabola) si arrogano la proprietà dei frutti, che il popolo (la vigna) ha prodotto, invece che destinarli a beneficio di tutti (che è l’unica maniera con cui li si consegna al legittimo Signore della vigna, il cui nome è amore di condivisione). È storia di ogni tempo, anche del nostro, e di ogni dove, anche di qui e di lì. E sempre si perseguitano e uccidono i profeti che denunciano gli abusi di autorità, i misfatti del potere, la logica disumana del Sistema. E, con loro, si uccide il Figlio, che, di quell’amore di condivisione, ha incarnato il significato nel seno della Storia. Sarà la stessa storia, ogni volta, a ritorgliersi contro i responsabili, se questi non risolveranno di cambiarne il corso, prestando finalmente ascolto alla Parola che li interpella. Noi, nel frattempo, da che parte saremo stati?

Oggi facciamo memoria di Emmelia e Basilio, coniugi e genitori secondo il cuore di Dio; di Girolamo di Praga, riformatore della Chiesa e martire; e dei Martiri ortodossi, ebrei e rom del regime ustascia.

Emmelia e Basilio erano una coppia della Cappadocia (nell’attuale Turchia). Durante la persecuzione, iniziata con Diocleziano e proseguita sotto l’imperatore d’Oriente, Galerio Massimino, (305-311), la più dura che il cristianesimo si trovò ad affrontare, per mantenersi fedeli al Vangelo del Regno, dovettero lasciar la loro terra, provando la durezza dell’esilio, la solitudine e le molte difficoltà legate a questa condizione. Esempio di dedizione reciproca, di coerenza e fedeltà, diedero vita a dieci figli, tra i quali san Basilio il Grande, san Gregorio di Nissa, san Pietro di Sebaste, santa Macrina (chiamata con questo nome in omaggio alla nonna, anch’essa santa), ai quali, morendo (verso l’anno 370), lasciarono in eredità la ricchezza della loro testimonianza di fede.

Girolamo nacque a Praga verso il 1370. Compì i suoi studi universitari nella cittá natale, dove subì l’influenza del riformatore Jan Hus. Recatosi, nel 1398 a Oxford, in Inghilterra, rimase colpito dagli insegnamenti di John Wicliffe e se ne fece sostenitore. Insegnò in molte città, nelle università di Parigi, Colonia, Heidelberg, Vienna, Cracovia, ma da tutte fu allontanato per i sospetti di eresia che pesavano su di lui, e, più ancora, per il suo zelo nel denunciare la corruzione dilagante nella Chiesa. Nel 1412, organizzò assieme a Hus una protesta contro la decisione dell’antipapa Giovanni XXIII di finanziare la guerra attraverso la vendita delle indulgenze. Hus e i suoi seguaci furono raggiunti dalla scomunica dell’antipapa. Nel 1415, Girolamo si recò al Concilio di Costanza per difendere Hus, dalle accuse di eresia, mosse contro di lui dai teologi Pietro d’Ailly e Jean Gerson. Difensore della chiesa invisibile dei credenti, che costituisce, assai più di quella istituzionale, il vero Corpo mistico di Cristo, critico feroce del lusso delle gerarchie e delle ingiustizie sociali, fautore delle teorie di Wyclif sulla paritá tra clero e laicato, e assertore della necessità di predicare nelle lingue nazionali, Hus fu condannato al rogo. Gerolamo, allora, si decise a fuggire. Giunto però in Baviera, fu riconosciuto, arrestato e inviato nuovamente a Costanza. Processato, in un primo momento ritrattò le tesi che aveva condiviso con l’amico e maestro, ma, quando, il 16 Maggio 1416, fu portato nuovamente davanti al giudice, dichiarò di averlo fatto solo per paura della morte. Il processo si concluse con la sua condanna a morte e Girolamo fu bruciato sul rogo. L’umanista Poggio Bracciolini presente in quei giorni a Costanza, scrisse ad un amico dell’esecuzione: “Quando giunse nel luogo del supplizio, si spogliò da solo dei vestiti e, inginocchiatosi, salutò il palo al quale fu poi legato con molte funi e fu stretto, nudo, con una catena. Dopo che gli fu posta intorno al petto e alle reni molta legna, mista a paglia, e fu appiccato il fuoco, Girolamo cominciò a cantare un certo inno, che fu interrotto dal fumo e dalle fiamme”. Era il 30 Maggio 1416.

Nel Maggio 1941, subito dopo la creazione del cosiddetto “Stato libero di Croazia”, ad opera del leader ustascia Ante Pavelic, che godeva dell’appoggio di Hitler e Mussolini, ebbe inizio nel Paese la sistematica eliminazione delle minoranze etniche e religiose, oltre che degli oppositori politici. Si calcola che furono circa 800.000 i serbi eliminati durante la seconda guerra mondiale. Tra essi 6 vescovi, più di 300 preti e 222 religiosi. Con loro, ricevettero lo stesso trattamento cinquantamila ebrei croati e ottantamila rom. Furono anche distrutte tutte le sinagoghe e circa 300 chiese ortodose presenti sul territorio. Tale persecuzione mirava alla completa eliminazione della presenza ortodossa (oltre che di quella ebrea e gitana) in quelle regioni tradizionalmente cattoliche. Questo è ciò che potrà forse in qualche modo spiegare il silenzio, quando non l’esplicito assenso e, più di qualche volta, tragicamente, la diretta complicità, che caratterizzarono l’atteggiamento dei cattolici, dei loro preti e di gran parte della gerarchia, di fronte alle deportazioni, le torture e i massacri. Una rivista ortodossa, facendone memoria, così scrive: “Dobbiamo fornire gli orribili dettagli di queste atrocità? I ventri di donne gravide furono squarciati; furono arrostiti uomini su graticole da animali (vi furono casi in cui alcuni furono forzati a mangiare le membra arrostite dei propri familiari). Furono compiuti maligni esperimenti medici. Vi furono persone impalate, segate in due, occhi cavati dalle orbite. I cuori di vittime innocenti furono strappati e mangiati dai loro avversari. Morti lente e agonizzanti potevano durare per settimane intere. Ogni tipo di tortura che il diavolo poteva instillare nei confronti di altri esseri umani si manifestò in pieno in quegli anni di tribolazione”. La memoria di tali vicende dovrebbe mettere in guardia i cristiani dalle manipolazioni e strumentalizzazioni di cui il Vangelo di Gesù può essere fatto oggetto da parte di movimenti e di ideologie, che hanno tutto l’interesse a fare di esso, invece che l’Evento con cui Dio abbraccia il mondo intero, la semplice espressione di un’identità e di una cultura che, per giunta, fomenta il disprezzo e l’odio per l’altro e teorizza, invece che l’incontro e il dialogo, lo scontro delle civiltà, in vista del proprio dominio.

Le letture che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratte da:
2ª Lettera di Pietro, cap. 1, 2-7; Salmo 91; Vangelo di Marco, cap. 12,1-12.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Shivaismo, Vishnuismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano dell’Archimandrita Nektarios Serfes, dedicato alla Commemorazione dei Nuovi Martiri della Serbia, che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non esiste maggiore testimonianza del totale amore di Dio in Cristo per il potere del Santo Spirito, che l’amore puro e incondizionato che un cristiano ha per il suo prossimo e per tutta la creazione di Dio. L’amore di Dio attraverso un fratello si esprime più pienamente nel servizio umile e sincero agli altri, e specialmente nell’arte di sacrificarsi per il prossimo. Deporre la propria vita per l’aiuto e la promozione di un’altra persona è la vetta di ciò che significa seguire Gesù Cristo, essere un figlio della luce e un amico degli uomini. La testimonianza cristiana di deporre la propria vita martirio, dalla parola greca “martyria” che letteralmente significa “testimonianza” – è ciò che il nostro Salvatore ha compiuto per la vita del mondo (Gv 6, 51), poiché Gesù Cristo non era un mero mortale, e la sua morte sulla Croce è stata più grande di qualsiasi altra morte sacrificale nella storia del mondo. Gesù era il Dio-uomo, veramente Dio in forma umana, e perciò il suo sacrificio sulla Croce esibì e dimostrò l’amore sovrabbondante di Dio stesso per la propria creazione. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. (Gv 3, 16) Nello stesso modo, come ogni cristiano ortodosso crede, sono gli emulatori di questo sacrificio di Gesù – i gloriosi martiri – che sono stati sempre considerati i protettori della Fede, poiché in tutti i secoli hanno custodito la nostra Fede integra e pura da ogni contaminazione del diavolo. E ogni Chiesa ortodossa locale che ha nella sua storia resoconti di martirio può giustamente essere considerata benedetta da Dio e anche giustificata ai suoi occhi. Riguardo a questa prova e testimonianza della Fede sacrificale di Cristo il Signore, la Chiesa Ortodossa Serba rimane agli occhi del Signore e dell’intero mondo cristiano la più preziosa e bella! (Archimandrite Nektarios Serfes, Commemoration of the New Martyrs of the Serbain Land).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Maggio 2016ultima modifica: 2016-05-30T22:51:53+02:00da fraternidade
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