Giorno per giorno – 28 Maggio 2016

Carissimi,
“Mentre [Gesù] camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?” (Mc 11, 27-28). C’erano proprio tutti a contestarlo, in quell’occasione, tutti quelli che costituivano l’elite dell’epoca: preti, intellettuali e politici. Turbati, alcuni certo in buona fede, dalla libertà che Gesù si prendeva nel sovvertire la tradizione. Salvando le proporzioni, sembra di vedere il fastidio, lo sconcerto, la costernazione che certi porporati, oltre che schiere di (non sempre sinceri) devoti di varie professioni, inclusi atei devoti, fino a ieri cultori inflessibili del principio-autorità (sempre che trovassero in essa un qualche riscontro alle proprie posizioni), manifestano di fronte alla libertà con cui parla ed agisce una figura come quella di papa Francesco. Nei confronti del quale il principio-autorità già non vale (perché non serve) più. Nel caso di Gesù si capisce perché egli risponda: beh, sapete una cosa, proprio non ve lo dico chi mi ha dato l’autorità di fare queste cose. Vedetevela voi con la vostra coscienza. A lui (come anche a papa Francesco e ai molti profeti che hanno attraversato e attraversano anche il nostro tempo) basta segnalarci l’essenziale: il riprendere in mano la nostra vita, guardarla con i suoi occhi, metterci in ascolto del suo Spirito, disporci a seguire i suoi passi, fino alle (mio Dio, no!) estreme conseguenze.

Il calendario ci porta la memoria di Andrea, Folle in Cristo, e di Rabí‘a al-‘Adawíyya, mistica islamica, “testimone dell’amore di Dio”.

Secondo il suo agiografo, tale Niceforo, prete di Santa Sofia, a Costantinopoli, Andrea era uno schiavo originario della Scizia, che il suo stesso padrone aveva istruito per farne il suo segretario. Improvvisamente, però, il giovane cominciò a manifestare evidenti sintomi di follia, così il padrone lo fece rinchiudere e incatenare nei pressi della chiesa di Santa Anastasia, ma invano. Ebbe così inizio l’avventura del folle in Cristo più amato di Costantinopoli. Da quel momento, la sua vita sarà la simulazione di un degrado esteriore, volto a fargli occupare l’ultimo posto nel consesso umano. Gratificato di numerose visioni, affascinato dal futuro ultimo dell’uomo, Andrea, con la sua vita e con i suoi dialoghi, esprimeva la sua attesa del Regno e il giudizio che sovrasta la storia. Spesso, suo interlocutore era Epifanio, uomo di profonda saggezza, che fu in seguito patriarca di Costantinopoli (520-535). A differenza di Simone il Folle, che aveva vissuto un’esperienza analoga alla sua ad Emesa (l’attuale Homs, in Siria), Andrea non simulava la follia per smascherare i peccati di quanti incontrava, ma per manifestare l’esistenza di un mondo invisibile e di una sapienza “altra”. Questa è la ragione per cui è tanto amato dai monaci bizantini, che gli dedicarono una miriade di piccole chiese nei luoghi più impensabili. Nella Chiesa russa, la memoria di Andrea è legata alla festa della Protezione della Madre di Dio, che egli aveva profetizzato in una delle sue più celebri visioni.

Rabí‘a era nata in una povera famiglia della regione di Bassora, nell’attuale Iraq, all’inizio del VIII secolo. Ancora giovanissima, a causa di una carestia, era stata venduta schiava ad un ricco signore che tuttavia, impressionato dai doni spirituali di cui ella godeva, la rimandò libera. E, libera, lei volle restare, scegliendosi schiava del suo Signore. Così, a chi le faceva notare l’obbligatorietà del matrimonio, soleva rispondere: Hai ragione, il matrimonio è obbligatorio, almeno per chi è libero di scegliere. Ma io appartengo a Dio. È a Lui, dunque, che bisogna chiedere la mia mano. E nessuno sapeva come arrivare da Lui a chiedergliela. Rabí‘a visse per alcuni anni come eremita nel deserto, poi si stabilì a Bassora, dove condusse una vita in assoluta povertà, abitando in una capanna di giunchi in compagnia di una ancella, ‘Abdia, che fece conoscere ai contemporanei e ai posteri parole e vita della santa. Un giorno i suoi devoti le chiesero se amasse il Profeta. Lei rispose: Certo che lo amo, e molto, ma l’amore di Dio non mi lascia il tempo di amare il Profeta. Le domandarono allora: Odi Satana? Certo che lo odio, ma l’amore di Dio non mi permette di occupare il mio tempo ad odiarlo. Un giorno fu vista correre per la strada portando una torcia accesa in una mano e un secchio d’acqua nell’altra. Quando le chiesero dove corresse, ella rispose: “Voglio incendiare il paradiso e spegnere l’inferno perché i credenti adorino Dio non per la speranza nel paradiso o per la paura dell’inferno, ma solo per amore”. Già, liberi. Per amare. Morí nell’ 801, più che ottantenne, a Gerusalemme. Fu sepolta nei pressi della chiesa cristiana dell’Ascensione, sul Monte degli Ulivi.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giuda, 1, 17. 20-25; Salmo 63; Vangelo di Marco, cap.11, 27-33.

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dalla memoria di Andrea il folle, scegliamo di proporvi il brano di un teologo ortodosso, Pavel Evdokimov, tratto dal suo libro che (tanto per restare in tema) ha come titolo “L’amore folle di Dio” (Edizioni Paoline). Che è,per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Uno dei simboli della fede più antichi recita: “E nello Spirito Santo la Chiesa”; questa misteriosa identificazione significa: credere nella Chiesa, nella sua sovrabbondanza di “grazia su grazia” senza misura. “La legge (l’autorità) è stata data a Mosè: la grazia e la verità (la libertà) sono venute per Gesù Cristo” (Gv 1, 17): “Dio dona lo Spirito senza misura” (Gv 3, 34). La sete della vera libertà è la sete dello Spirito Santo che affranca senza misura. Simone Weil parla bene di questa sete: “Chiamare lo Spirito in modo puro e semplice; un appello, un grido. Come quando si è al limite della sete, malati di sete, non ci si rappresenta più l’atto di bere in rapporto a se stessi e neppure l’atto di bere in generale. Ci si rappresenta soltanto l’acqua, l’acqua in se stessa; ma questa immmagine dell’acqua è come un grido di tutto l’essere…”. A questo grido risponde la Chiesa vissuta come la Pentecoste continuata, la sovrabbondanza perpetuata: “Chi ha sete, venga. Chi lo desidera, riceva in dono l’acqua della vita” (Ap 22, 17). È l’essenza stessa della Chiesa: non l’autorità, ma la sorgente della sovrabbondanza, la grazia su grazia, la libertà su libertà che sopprime ogni “oggettivizzazione”, ogni conflitto, ogni timore di schiavo. La caduta fu precisamente la perversione dei rapporti interiori stabiliti da Dio. Ma prima ancora è il serpente che perverte lo stato paradisiaco suggerendo la falsa idea di una interdizione, perciò di una legge prima della caduta. Il serpente insinua: “Dio ha detto: Voi non mangerete il frutto di tutti gli alberi del giardino” (Gen 3, 1). Dio, invece, dice proprio il contrario: “Tu puoi mangiare il frutto di tutti gli alberi del giardino” (Gen 2, 16), ma con conseguenze diverse. Se san Paolo dice: “Tutto è permesso, ma non tutto è utile” (1Cor 6, 12), il serpente direbbe: “Tutto è proibito, ma tutto è utile”; in tal modo Dio viene trasformato in legge ed in proibizione. Ma Dio non dice: “Non mangiare questo frutto, altrimenti sarai punito”, bensì: ”Non mangiare questo frutto, altrimenti morrai”. Non è un ordine, ma un avvertimento riguardante un destino liberamente scelto in un senso o nell’altro. Non si tratta affatto di una semplice disobbedienza, bensì dell’oblio della comunione vivente con il Padre, dell’occultamento della sete della sua presenza, del suo amore-verità che è la vita, perché al polo opposto si trova la morte. Nel momento della tentazione l’uomo si rappresenta Dio come un’autorità che detta ordini ed esige obbedienza cieca. La suggestione viene da Satana, dalla primitiva rivolta contro un’autorità oggettivata e quindi impoverita e pervertita, perché cessa di essere verità che affranca. L’uomo ha “oggettivato” Dio ed ha introdotto una distanza, uno spazio esteriore e da allora cerca l’oscurità e si nasconde, si costruisce un’esistenza da prigioniero. Perciò Cristo viene “per dare la libertà ai prigionieri… per rimandare liberi quanti sono nell’oppressione” (Lc 4,19). (Pavel Evdokimov, L’amore folle di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Maggio 2016ultima modifica: 2016-05-28T22:29:24+02:00da fraternidade
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