Giorno per giorno – 26 Maggio 2016

Carissimi,
“Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste” (Lc 9, 16-17). Il miracolo, la cosa strepitosa, è che tutti si saziarono e, non solo, ma di quei pane e di quei pesci, ne avanzarono ancora dodici ceste. Dodici, quante le tribù di Israele, vale a dire tutto il popolo. Dodici, come i mesi dell’anno. Vale a dire, sempre. Questa è la preoccupazione di Dio. Che quell’evento non resti un fatto isolato, ma, il suo significato si propaghi per ogni tempo e luogo. Questo celebra l’Eucaristia e questa festa. Oggi sono cinque pani e due pesci, domani sarà la mia stessa vita, che offrirò, perché, alimentati di me, di questa mia stessa intenzione, possiate fare di voi stessi e dei vostri beni, il dono condiviso per la vita del mondo. Che è anch’esso il corpo di Dio, il Cristo Gesù presente nella storia.

Oggi la Chiesa celebra la Solennità del Corpo e del Sangue del Signore
Istituita nel 1246, nella diocesi di Liegi, in Belgio, in seguito alle visioni di una monaca agostiniana, Giuliana di Cornillon, che suggerì all’Ordinario locale l’opportunità di una festa che valorizzasse adeguatamente il mistero dell’Eucaristia, la festa fu, nel 1264, estesa a tutta la cristianità, dal papa Urbano IV (Jacques Pantaléon, già arcidiacono della chiesa di Liegi e confidente della religiosa). La data della sua celebrazione fu fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua). L’impulso decisivo all’istituzione della festa fu dato da un evento prodigioso avvenuto nel 1263 (o forse nel 1264) nella chiesa di santa Cristina a Bolsena, quando durante una messa celebrata da un prete boemo, Pietro di Praga, che nutriva dubbi sulla presenza di Cristo nelle specie consacrate, l’ostia stillò sangue. Il papa, venuto a conoscenza del fatto, con la bolla “Transiturus de hoc mundo”, dell’11 agosto 1264, istituì la festa. Quali che siano le concrete circostanze in cui ha avuto origine, la festa rappresenta una ripresa della Pasqua della Cena del Signore, celebrata il Giovedì santo. Sintesi della vita e significato della morte di Gesù. Che la risurrezione suggella come verità di Dio. E da cui scaturisce la vita della Chiesa.

I testi che la litugia della solennitá odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.14, 18-20; Salmo 110; 1ª Lettere ai Corinzi, cap.11, 23-26; Vangelo di Luca, cap.9, 11b-17.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Filippo Neri, il prete dell’allegria, di don Cesare Sommariva, “don Cece”, maestro e preteoperaio, e di Abd el Kader, mistico islamico.

Filippo Neri era nato a Firenze il 21 luglio 1515, nella famiglia di un notaio. Per un certo tempo, aveva pensato di seguire il padre nella sua professione. Poi cambiò d’idea e andò via dalla città, trasferendosi prima a Cassino e poi, nel 1538, a Roma. Lí cominciò a lavorare tra i ragazzi delle borgate e li lasciava fare tutto il casino che volevano, perché pensava che comportarsi male non consiste nel contravvenire il galateo, ma è altro. Poi, a quelli che se la sentivano, gli insegnava a leggere la Bibbia, a cantare e li portava perfino a messa. Fondò una confraternita di laici che si incontravano per pregare e per dare aiuto ai pellegrini e ai malati. A 36 anni il suo confessore decise che era bene che fosse ordinato prete e Filippo obbedì, dando vita, poco dopo, all’Oratorio, una congregazione religiosa di sacerdoti, impegnati in particolar modo nell’educazione dei giovani. A scanso di possibili delusioni, pregava spesso così: “Signore, non aspettare da me se non male e peccati; Signore, non ti fidar di me, perché cadrò di certo, se non m’aiuti”. La gente faceva fila davanti al confessionale, perché dicevano che sapesse leggere nei cuori. Morì ottantenne, il 26 maggio 1595.

Cesare Sommariva era nato a Milano l’8 gennaio 1933 in una agiata famiglia della borghesia milanese. Conseguita la maturità classica, era entrato in seminario e, dopo gli studi di teologia, fu ordinato prete, il 26 giugno 1955. Inviato come coadiutore nella parrocchia di Pero, nell’hinterland milanese, vi restò fino al 1970. Nel frattempo aveva conosciuto e stretto amicizia con don Lorenzo Milani, con cui condivise il progetto di restituire la parola ai poveri che ne erano stati espropriati, favorendo l’acquisizione di un pensiero autonomo, capace di sottrarsi ai luoghi comuni e alle sirene dell’ideologia dominante. Nacque così l’esperienza delle scuole popolari di quartiere e dei doposcuola. Nel 1970 fu incaricato con altri due confratelli di dare vita a una nuova parrocchia nella periferia della città operaia di Sesto San Giovanni. Dopo quattro anni chiese ed ottenne di iniziare la vita di prete operaio. Assunto alla Redaelli di Rogoredo, una grande acciaieria nella periferia Sud di Milano, vi rimase fino alla crisi dell’azienda, condividendo con gli altri operai il massacrante orario di lavoro dei tre turni. Nel 1977 ottenne di fare vita comune con altri due preti operai: nacque così la Comunità San Paolo, a cui nel 1980 fu affidata la cura pastorale del quartiere Stella di Cologno Monzese. Nel 1986, ormai pre-pensionato, in seguito alla definitiva chiusura della Redaelli, avvenuta nel 1984, chiese al card. Martini di essere inviato come prete fidei donum in Salvador, negli anni dello scontro tra il dittatore Duarte e le forze della guerriglia raccolte nel Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Marti. Nel 1992 Mons. Rivera y Damas, che, nel 1980, era succeduto a mons. Romero, lo nominò parroco della parrocchia di San Roque, nella periferia più povera della capitale. Colpito da una forma di epatite, che andò progressivamente aggravandosi, continuò a spendersi al limite delle forze, fino al definitivo rientro in Italia, nel 2004. Qui, nell’affrontare la malattia che faceva il suo corso, visse momenti di sofferta depressione e di abbandono radicale al suo Dio. Fino alla morte, avvenuta il 26 (ma, secondo altre fonti che scopriamo all’ultima ora, il 19) maggio 2008. La Chiesa di Milano ha scritto di lui: “A volte cerchiamo modelli di vita perché ci aiutino a camminare. Don Cesare non è un santino da immaginetta, ma un eccezionale prete scomodo che ha seguito il Signore con fedeltà ed amore”.

Abd el Kader era nato nel villaggio di Guetna, poco distante da Mascara, in Algeria, nel 1808. Era stato educato nella zaouia diretta da suo padre, Si Mahieddine e, in seguito, aveva completato la sua formazione a Arzew e a Orano, sotto la guida di maestri prestigiosi. Dopo la presa d’Algeri, nel 1830, padre e figlio parteciparono alla resistenza, che elesse Abd el Kader emiro e gli affidò il comando del fronte anti-coloniale. Arresosi ai francesi nel 1847, Abd el Kader, dopo sei anni di prigionia in Francia, scelse la via dell’esilio, stabilendosi, nel 1855, a Damasco, in Siria, dove abiterà fino alla morte nella casa di Ibn Arabi, il mistico, vissuto sei secoli prima, che egli considerava suo maestro. Non lascerà, più il paese, se non per brevi viaggi e un pellegrinaggio alla Mecca, consacrando il suo tempo alla meditazione, alla preghiera, all’insegnamento e alla beneficienza. Nel 1860, i moti di Damasco gli fornirono l’occasione di mostrare la grandezza del suo animo. Dimentico dei soprusi a suo tempo subiti, salvò migliaia di cristiani dal massacro, inducendo i rivoltosi a ritirarsi. Celebrato e onorato, Abd el Kader si spense a Damasco il 26 maggio 1883.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un’omelia, tenuta da p. Ernesto Balducci, in occasione della Festa di Corpus Domini, nel 1989. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Le strutture, le istituzioni, le liturgie sono la materia di uno slancio che non è materia che si dilata e che va oltre. Noi dobbiamo mirare a questo corpo unico, a questa Eucarestia universale, subordinando a questo scopo tutto ciò che appartiene al cerchio ecclesiale. Questi discorsi visti in questa latitudine, sembrano passarci sulla testa, ma riempiono di senso i nostri rapporti quotidiani. Gli “altri” noi li incontriamo tutti i giorni, ci sono accanto, forse nella stessa famiglia. Gli altri, quelli che non fanno la comunione, li abbiamo attorno. Anche loro sono dentro questa Eucarestia. Se mangiamo un po’ di pane insieme, se offriamo un bicchiere di vino con amicizia, dilatiamo l’Eucarestia. Questa amicizia della creazione non è un fatto profano che va consacrato, è santo in sé; non va afferrato e collocato dentro il nostro quadro di dominio universale, è già santo in sé perché è nato dal seno dell’aurora. La chiesa è nata nel crepuscolo ma c’è qualcosa che è nato dall’aurora, e che nasce di continuo, ed è l’essere vivente che ci viene accanto. Sono i popoli lontani che ci appartengono, e soprattutto quelli su cui il terribile taglio della divisione ha lasciato il segno: gli estranei, i negri, i reietti… perché questa creazione ci è affidata. Volere un corpo solo, questo vuol dire. […] Ecco allora il nostro impegno. Invece di celebrare le nostre messe dovremmo metterci all’opera perché vinca questo processo che costruisce il corpo del Signore perché tutte le cose siano una sola cosa. […] Il nostro impegno è di metterci al servizio del re della pace, che è dovunque, e noi dobbiamo spezzare i meccanismi della guerra, della divisione che sono penetrati anche dentro le Chiese e le hanno asservite a sé. […] Dovremmo impegnarci a questo che è il senso della nostra vita, e ciascuno al posto suo, con le sue possibilità che sono innumerevoli: anche la musica, il canto, la poesia, l’amore e soprattutto la costruzione della pace nelle sue strutture pubbliche, nel superamento delle ingiustizie e nella riconciliazione, che sarà il compito del secolo prossimo, tra l’uomo e la natura, tra l’homo sapiens e le cose che ha in mano e che sono diventate sue nemiche. Questo è il grande compito che abbiamo. Qui si inscrive la vocazione cristiana diventando semplicemente, senza degradare, vocazione umana. (Ernesto Balducci, Omelie sparse, 1989, Anno C).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Maggio 2016ultima modifica: 2016-05-26T22:32:51+02:00da fraternidade
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